I non addetti al settore avranno difficoltà a trovare estremamente esilarante questa immagine. La realtà è che questa vignetta è un po’ l’emblema della comunicazione digitale e fa, allo stesso tempo, sorridere e riflettere. Sfruttando la possibilità di segmentare il target degli ads fino a dettagli come stato sentimentale o gusti musicali, il social advertising di contenuti sta assumendo caratteri sempre più inquietanti. Tema complesso quello dell’on-line advertising e della sensibilità di certe informazioni personali che nasce nell’età di Big G (ricorderete il grande dibattito del 2010 su Google, il re-targeting e la sensibilità dei dati privati) e oggi fiorisce sulle piattaforme più disparate generando grandi critiche tra i fruitori di piattaforme gratuite (vedi il recente polverone sulla proprietà dei cotenuti su Instagram o Facebook). Ora, in tale contesto, l’unica cosa che mi preme sollevare è che non bisogna dimenticare che tali piattaforme, in virtù della loro gratuità, hanno la piena libertà di trovare un proprio business model e che i fruitori (gli utenti iscritti) sono liberi di non riconoscersi in tali scelte con la semplice cancellazione dalla piattaforma.
Quello che mi sarebbe piaciuto leggere in questi giorni dai social-autoreferenzialisti come me che fanno dei Social Network il proprio pane quotidiano è un discorso più alto e approfondito sulle dinamiche che, nei board delle sale riunioni più prestigiose, portano alcune piattaforme a scegliere un business model piuttosto che un altro. Urge una seria riflessione sull’evoluzione del Corporazionismo moderno che ha infettato il mondo digitale attraverso le affascinanti ma sporche meccaniche del Private Equity e del Venture Capital. Il punto è che ogni vent’enne in ciabatte con un bel progetto in mano perde inevitabilmente il controllo della nave quando inizia a essere ammaliato dai primi finanziamenti e nessuno può biasimarlo per questo, specialmente se nel frattempo usufruiamo del progetto in questione gratuitamente: sarebbe interessante, parlando di soluzioni, ipotizzare lo sviluppo di una piattaforma crowdsourced dove gli utenti pagano l’accesso ma hanno diritto di votarne le features e sceglierne il business model (es. no pubblicità).
One reply on “Business Model dei Social Network. Il futuro del social advertising.”
Una piattaforma in crowdfounding in cui gli utenti (paganti) hanno diritto di scegliere le features è un bella idea, secondo me sulla carta potrebbe anche funzionare, ma solo per piccoli numeri di utenti molto convinti dell’idea.
Se già gli utenti che usano le cose gratis si lagnano (senza andarsene), chi dovesse pagare darebbe davvero un contributo costruttivo o semplicemente farebbe evitare tutto quello che a sensazione gli darebbe fastidio?
Forse la soluzione sarebbe una ridistribuzione di revenues o features, per esempio dicendo: “puoi usare questa feature gratis perché la manteniamo con questa attività x, troviamone altre in modo che possa essere sempre gratis per te”
Diciamo che aspettarsi saggezza è un po’ vano… meglio presentare utilità per gli utenti e cercare di farli concentrare su soluzioni per la loro stessa convenienza ed a quel punto potresti avere addirittura una user base non pagante, soddisfatta e veramente produttiva di idee.
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