Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un articolo del Post sulle rivolte in Egitto e voglio riportare di seguito un riassunto di una storia che, manco fossimo in un Film fantasy degli anni 80′, sembra non finire mai.
Novembre 2010 – Le elezioni

La prima manifestazione contro il regime di Mubarak in Egitto fu quella del 29 novembre 2010, all’indomani delle elezioni parlamentari con cui il partito dell’allora presidente ottenne quasi tutti i seggi disponibili, eliminando dalla scena i Fratelli Musulmani. Migliaia di persone scesero in piazza per protestare contro quei risultati denunciando brogli e irregolarità. Già da alcune settimane al polizia aveva iniziato a scontrarsi con i sostenitori dei Fratelli Musulmani, arrestando circa 1400 persone prima del voto.
Gennaio 2011 – L’inizio della rivolta

La data di inizio della rivolta in Egitto è il 25 gennaio 2011, giorno della prima vera protesta di massa contro Hosni Mubarak. Migliaia di persone marciarono per le strade del Cairo contro il governo di Mubarak e raggiunsero pacificamente piazza Tahrir, che da quel momento in poi divenne l’epicentro della rivolta. La polizia quel giorno non intervenne, pensando probabilmente che la protesta sarebbe rientrata in poco tempo. Invece il numero di persone continuò ad aumentare di giorno in giorno e a quel punto anche gli interventi delle forze dell’ordine iniziarono a farsi molto più violenti.
Il governo spegne internet

A poche ore di distanza dalla nuova grande manifestazione contro il presidente egiziano Hosni Mubarak prevista il 28 gennaio, l’accesso a Internet fu limitato e messo sotto controllo dalle autorità egiziane. Fino a quel momento i manifestanti avevano utilizzato i social network per condividere le immagini della protesta, organizzare nuove manifestazioni e coordinare la loro rivolta, seguendo uno schema molto simile a quello utilizzato in Tunisia dai manifestanti che hanno poi rovesciato il regime di Ben Ali. Il numero dei morti dall’inizio delle proteste nel frattempo era già salito a 7.
Mubarak scioglie il governo

Il 29 gennaio è il giorno che segna la prima vittoria importante per i manifestanti. Dopo gli scontri molto violenti con la polizia del giorno precedente e l’assalto alla sede del partito di governo, Mubarak annuncia lo scioglimento del governo e nomina l’ex capo dei servizi segreti Umar Sulayman vicepresidente dell’Egitto. È la prima volta in 30 anni che il paese ha un vicepresidente. Mubarak nomina anche l’ex ministro dell’aviazione, Ahmed Shafik come nuovo primo ministro con il compito di formare un nuovo governo, ma i manifestanti non si accontentano: vogliono le dimissioni del presidente e continuano a protestare in piazza Tahrir.
Febbraio 2011 – Migliaia di egiziani in marcia

Dopo le timide concessioni politiche del presidente Mubarak la rivolta in Egitto acquista ancora più forza e gli scontri si fanno più violenti. Il primo febbraio è il giorno della più grande manifestazione di massa contro il regime di Mubarak. Gli organizzatori – oltre che Al Jazeera – sostengono che in piazza c’erano oltre un milione di persone, altri mezzo milione, ma è difficile stabilirlo con certezza. Le proteste nel frattempo si sono estese a tutte le maggiori città – Alessandria, Suez, Mansoura – e il numero delle vittime sale a oltre cento. C’è anche un video che inizia a girare molto in rete, montato delle immagini della rivolta con una colonna sonora suggestiva (Thirteen Senses, Into the fire). E ci sono i primi carri armati che iniziano a mescolarsi alla folla e a proteggerla.
Mubarak si dimette

Dopo diciotto giorni di proteste ininterrotte, l’11 febbraio 2011, il presidente dell’Egitto Hosni Mubarak dà le dimissioni. La notizia è annunciata alle cinque di pomeriggio, ora italiana, dal vicepresidente Omar Suleyman. Il potere passa nelle mani del Consiglio Supremo Militare. Mubarak era al potere da trent’anni. La protesta di piazza Tahrir si trasforma in una festa che avanti tutta la notte.
Arriva Tantawi

Con le dimissioni del presidente Hosni Mubarak il potere è passato al Consiglio Supremo Militare. La figura più importante diventa Mohammed Hussein Tantawi, ministro della Difesa e capo del Consiglio. Tantawi ha 75 anni e ha combattuto tre guerre contro Israele: quella del Canale di Suez del 1956, quella del 1967 e quella del 1973. È stato un uomo del regime di Mubarak, anche a capo dei servizi segreti, e sul suo ruolo c’è da subito molto scetticismo. Il dubbio che aleggia è che Mubarak sia stato costretto alle dimissioni da un colpo di stato militare. Nel frattempo, l’ex presidente ha fatto perdere le sue tracce. Da questo momento in poi si susseguono notizie di fughe, malattie e morti: tutte sempre smentite.
La transizione

Il 6 febbraio, dopo una nuova settimana di scontri e manifestazioni, il vicepresidente Omar Suleiman firma un accordo con le forze di opposizione, tra cui i Fratelli Musulmani, e dichiara la fine dello stato di emergenza. L’accordo prevede di punire i responsabili delle violenze commesse sui civili e istituire un comitato per le riforme costituzionali di cui facciano parte anche le forze dell’opposizione. Qualche giorno prima Mubarak si era rivolto alla popolazione con un messaggio televisivo, confermando di non volersi dimettere, ma al tempo stesso di non avere intenzione di candidarsi nuovamente alle prossime elezioni previste per il mese di settembre.
Marzo 2011 – Il referendum

Il 19 marzo in Egitto si vota per un referendum costituzionale, primo passo verso le elezioni parlamentari prima e quelle presidenziali poi. Il referendum viene approvato a larghissima maggioranza e nei suoi punti principali stabilisce la limitazione del mandato presidenziale da quattro a due anni, l’obbligo per il presidente di nominare un vicepresidente entro sessanta giorni dall’elezione, la supervisione dell’autorità giudiziaria sulle elezioni e la nomina di un’assemblea costituente che scriva una nuova costituzione.
Aprile 2011 – I nuovi scontri

L’8 aprile 2011 i manifestanti tornano a occupare piazza Tahrir per protestare contro la giunta militare, accusata di ostacolare la transizione verso un governo democratico e la punizione dei responsabili delle violenze commesse sui civili nei giorni della rivolta di gennaio. Il Consiglio Supremo ordina a tutti i militari in servizio in Egitto di non partecipare alla manifestazione, pena il deferimento immediato davanti al tribunale militare. Da questo momento in poi i rapporti con la giunta di quella parte della popolazione che aveva guidato la rivolta diventano sempre più difficili. Il 29 luglio i manifestanti organizzano la più grande protesta di piazza dalla caduta di Mubarak. L’accusa è sempre la stessa: avere tradito lo spirito della rivoluzione e di non avere avviato le riforme democratiche di cui il paese avrebbe bisogno.
Settembre 2011 – Le elezioni

A settembre il Consiglio supremo delle forze armate egiziane annuncia le date delle tornate elettorali per rinnovare il Parlamento. Il 28 novembre ci sarà la prima delle tre fasi per l’elezione dei membri della Camera, cui seguiranno altri due turni il 14 dicembre e il 3 gennaio. Soltanto dopo si procederà con l’elezione di un nuovo presidente. A inizio ottobre, con l’aumentare delle proteste, la giunta è costretta a chiarire ulteriormente le tappe per il passaggio del potere ai civili. I militari accettano inoltre di cambiare l’articolo della nuova legge elettorale che stabilisce che due terzi dei 500 seggi parlamentari siano destinati ai candidati dei partiti mentre un terzo sia riservato ai candidati indipendenti. Questo sistema era stato molto criticato perché permette agli ex membri del regime di candidarsi alle elezioni. Ma intanto continuano i processi militari ai civili, una pratica che ha mandato in carcere circa 10mila persone negli ultimi otto mesi.
Ottobre 2011 – Il massacro dei copti
Il 10 ottobre ventiquattro persone vengono uccise al Cairo negli scontri tra un gruppo di cristiani copti e l’esercito, all’esterno della sede della tv di Stato. I copti avevano indetto una manifestazione per protestare contro le persecuzioni e le violenze subite negli ultimi mesi, tra cui la distruzione di una loro chiesa a Merinab, nel sud dell’Egitto.
Novembre 2011 – Le nuove proteste

L’ultima ondata di proteste è iniziata venerdì, innescata da una bozza di riforma costituzionale redatta sotto la supervisione del vice primo ministro Al Selmi. I manifestanti hanno contestato soprattutto due articoli del testo che, almeno nella bozza iniziale, negavano non solo la possibilità di controllo sul bilancio dell’esercito, ma anche la possibilità di una commissione indipendente che vigilasse sulle azioni dei militari. Inoltre erano previste punizioni per chiunque criticasse l’operato dell’esercito, un divieto che negli ultimi mesi ha causato migliaia di arresti tra blogger e oppositori del regime militare. Il governo egiziano ha successivamente pubblicato una nuova versione, secondo cui un Consiglio di Sicurezza Nazionale guidato dal presidente avrà il compito di controllare l’operato dell’esercito, ma le proteste non si sono fermate.
“Those who make peaceful revolutions impossible, make violent revolutions inevitable” JFK
Aggiornamento: Freedom lines, elezioni libere in Egitto
3 replies on “Primavera Araba, cronologia della rivoluzione in egitto”
Grazie mille!!! Devo studiare proprio una cronologia (non c’ero a scuola) domani ho la verifica. Ho compreso tutto a meraviglia, perchè il linguaggio è semplice ma allo stesso tempo ricco di lessico… Lo so sembro una prof!!!
Sono in terza media xD 😉
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[…] e sta accadendo, dalla Tunisia all’Algeria fino all’esplosione non ancora placata in Egitto. La Penisola araba ha visto manifestazioni popolari organizzate via web in Yemen, in Siria. Questi […]
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[…] esempio? Prendiamo il caso della Siria. A differenza di quanto attuato da Mubarak in Egitto, che ha cercato di reprimere il dissenso impedendo l’accesso a Internet, il governo siriano ha […]
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